Piccola premessa: non frequento spesso questo blog perché mi sento molto più a mio agio danzando piuttosto che scrivendo. La Biodanza mi ha aiutato a fare dei passi e ad apprendere dall’esperienza prima che dalle parole. Ma anche a capire che condividere verbalmente il mio sentire aiuta a dargli valore, profondità e significato. Intuisco che mentre lo esprimo a parole è come se trovasse un posto interno da cui muoversi per creare nuove connessioni di senso con altri tasselli, e pian piano formare una saggezza con cui andare nella vita.

Avrei potuto intitolare questo articolo “La Pace”, perché è da lì che il mio sentire è partito: da un’urgenza di pace, rispetto al misto di rabbia, tristezza, difficoltà a intravedere una via d’uscita che so di non essere la sola a provare di fronte alle notizie che ci arrivano dal mondo in questi tempi. Notizie che per di più sono solo la punta di un iceberg che rimane lontano ai nostri occhi, e che tendiamo a rimuovere. Parlo delle guerre, delle ingiustizie e anche dell'”umanità” della vita collettiva in ambiti di ‘pace apparente’, che pare aver preso una piega distorta nella sua evoluzione. Come si fa a fare del mondo un luogo sicuro?

E di colpo percepisco che mi è più facile guardare fuori piuttosto che dentro di me. Più facile a prima vista, perché di fronte alla mia pretesa di una risoluzione dei mali del mondo sento un grande senso di impotenza.

Quello che vedo fuori è reale, ma nasce da esseri umani sempre più disconnessi dalla propria umanità. E come diceva un Lama tibetano, perdere la connessione con l’umanità di un’altra persona implica il perderla da se stessi ed è il segno più grande di un trauma subìto.

Tempo fa ho visto un docufilm che si intitola “La saggezza del trauma” (sul lavoro del Dr Gabor Maté, e diretto da Zaya e Maurizio Benazzo), in cui ho compreso che un cucciolo della specie umana è molto facile che subisca un trauma, essendo la sua fase infantile molto più lunga, complessa e delicata rispetto a quella di un altro animale. L’ascolto, il contenimento, l’empatia sono qualità che troppo spesso il genitore non ha appreso dai propri genitori, e può bastare la mancanza di queste competenze a traumatizzarci, a non farci sentire visti, riconosciuti, amati. Siamo tutti un po’ traumatizzati, non solo chi ha subito ferite palesi. Tutti i traumi si trasmettono a livello intergenerazionale, e si riproducono su un piano sociale, perché proiettiamo sulla realtà esterna il nostro vissuto interno: ne siamo tutti condizionati.

Da piccoli, reagiamo a questa sofferenza disconnettendoci dal nostro sentire come meccanismo di sopravvivenza, poiché l’alternativa di allontanarci dai nostri genitori sarebbe impossibile visto che ne dipendiamo. La ferita e la disconnessione da sé e dall’umanità, con tutti i comportamenti distorti e dannosi che comporta, però è tale che anche da adulti rimane e continua a fare danni, se non prendiamo in mano la nostra vita per il meglio.

E allora il mio sentire che voglio condividere qui è scoprire che posso contribuire a creare un luogo sicuro fuori, con un piccolo-grande granellino di sabbia, riconoscendo che prima di tutto il luogo sicuro è dentro di me, quando mi riconnetto con il mio sentire e le mie emozioni, quelle che hanno creato la mia ferita e la mia disconnessione un tempo, proprio quelle che fuggo proiettandole all’esterno mentre guardo alla finestra altra sofferenza. Se le cacciamo dalla porta bussano alla finestra sotto forma di proiezioni. Ho solo bisogno di darmi tempo per farle entrare, di fare un passettino per volta, di immergerci i piedi per sentire com’è l’acqua per pian piano sentire finalmente il calore della vita, lo stesso che la Biodanza mi fa sentire. Da disconnessi si sta fuori da soli e al freddo. Connessi con il nostro “dentro”, con benevolenza e comprensione, la paura si dissolve, si può riabbracciare il bambino che si è stati e sentirsi più interi, e il senso di impotenza verso la sofferenza che vivono altri esseri umani può trasformarsi in un senso di potenza nell’unione, possibile nell’espansione di quell’amore che si è avviato.

I biologi hanno scoperto che all’interno delle cellule del tessuto del bruco ci sono cellule chiamate cellule immaginative.
Risuonano su una frequenza diversa. Inoltre, sono così diverse dalle altre cellule che il sistema immunitario del bruco le prende per nemiche e cerca di distruggerle. Ma continuano ad apparire nuove cellule immaginative e sempre di più…
Improvvisamente il sistema immunitario del bruco non può più distruggerle abbastanza velocemente e diventano più forti collegandosi le une alle altre per formare una massa critica che riconosce la loro missione di realizzare l’incredibile nascita di una farfalla. Nel 1969 Margaret Mead ha dichiarato: ′′Non dobbiamo mai dubitare che un piccolo gruppo di cittadini motivati e determinati possa cambiare il mondo”. […] Nonostante il clamore della paura, dell’avidità, del consumo eccessivo e della violenza che si esprime attraverso il tessuto sociale, esiste un’unione di uomini e donne che possiamo chiamare cellule immaginative, che rivelano un mondo diverso, una trasformazione, una metamorfosi.

-Deepak Chopra

Come diceva Rolando Toro, “L’Altro mi dà notizia di me” in molti modi, basta ascoltare. La Biodanza è un sistema che aiuta a riconnetterci con noi stessi, danzando le nostre emozioni e tutto il nostro sentire. Lo facciamo insieme con gli altri, che ci rispecchiano parti di noi e anche la ricchezza e la realtà del diverso, dell’Altro da noi, quindi nello stesso tempo in una connessione più grande. Pian piano, ritrovandoci settimana dopo settimana, va creandosi familiarità e fiducia reciproca fino a che il nostro spazio diventa un luogo sicuro condiviso. Pian piano la nostra apertura a piccoli passi, i nostri piedi nell’acqua che via via iniziamo a sentire calda, ci fanno accedere ad altri spazi, allarghiamo la nostra zona di comfort e mettiamo le basi per rispondere alle ferite nostre e del mondo con la nostra connessione amorevole con noi stessi e con gli altri.

Danzare il sentire, approdare a nuovi pensieri e nuove azioni: è la Danza di una Vita che sia più connessa con noi, i nostri bisogni e i nostri desideri, e con quel senso di etica e bellezza che per ognuno di noi la parola umanità evoca.