Seduti in cerchio, nella prima mezz’ora di ogni sessione di Biodanza in realtà iniziamo già a danzare: una danza in cui sono invitate a muoversi le percezioni di ciò che è rimasto dalla sessione precedente, le sensazioni corporee e le emozioni che si sono destate, i sentimenti e gli stati d’animo che si sono prodotti.

Si respira qualche istante dentro ‘ciò che è vivo’ in noi, ora’: percezioni, sensazioni, emozioni, sentimenti e stati d’animo, cercando le parole per riportarlo agli altri del gruppo nel modo più autentico e fedele.

Se non ci viene nulla da dire, o se ancora non ce la sentiamo ci concediamo di non prendere la parola.

Se invece vogliamo provare, sappiamo che non servono parole “belle”, ma quelle che troviamo in quel momento.

Mentre una persona parla le altre sono invitate all’esperienza dell’ascolto, anche questa preziosa. Intervenire dopo che l’altro ha finito di parlare significa usare il breve silenzio che la persona ha lasciato per ri-centrarsi su di sé, connettersi con ciò che si prova, ed esprimersi evitando commenti sulle parole degli altri.

Ci diamo il permesso di parlare in prima persona (“io ho sentito/sento…”), e di invertire, incontro dopo incontro, la tendenza a fuggire nell’interpretare, nell’analizzare, nel generalizzare o nel giudicare, noi stessi e gli altri. Tutte operazioni, queste, della nostra mente, a cui la nostra civiltà iper-razionale ci ha abituato.

Incontrandoci e danzando insieme ogni settimana finiamo così per creare insieme un ‘ambiente protetto’ attraverso la cura e il rispetto reciproci, di cui chi facilita rimane custode.

E’ una danza generosa, in cui ci rieduchiamo a stare con ciò che proviamo e a dargli valore, ad amarci incondizionatamente, a radicare i nostri benefici da una sessione all’altra, e a mettere la nostra mente sullo sfondo per dare spazio al movimento del nostro corpo e di tutto ciò che lo abita!